
L’ultimo disegno di legge, a contrasto della violenza di genere, nel testo diffuso dal comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ci lascia perplesse, in più parti.
Non ci convince la formulazione del delitto di femminicidio, di cui all’introducendo art 577 bis c.p., che dispone la pena dell’ergastolo per chi uccida una donna “quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà o comunque l’espressione della sua personalità.” È del tutto evidente la genericità del testo, che contravviene al principio di tipicità, sancito dall’art 25 comma 2 della Carta Costituzionale e, come tale, si palesa prossimo a censura d’incostituzionalità. Né, alla definizione dell’elemento normativo, potrebbe soccorrere il diritto vivente, posto che, nella realtà giudiziaria, il riconoscimento della matrice sessista e patriarcale dei delitti contro le donne è cosa ancora lontana a venire.
Così come scritta, la nuova fattispecie di reato demanderebbe alla Magistratura l’accertamento delle intenzioni dell’assassino, fondate sulla discriminazione di genere, sull’odio e sulla sopraffazione sessista, come tali difficilmente verificabili. Il nuovo delitto, al netto delle censure d’incostituzionalità, appare, fin d’ora, inevitabilmente destinato a restare privo di applicazione.
Altro nodo critico è l’audizione obbligatoria, della persona offesa dei reati da “codice rosso”, da parte del Pubblico Ministero, non delegabile alla Polizia Giudiziaria. L’assunto astrae totalmente dall’esperienza giudiziaria, è del tutto impraticabile, perché significherebbe bloccare l’attività delle Procure, non solo a contrasto della violenza di genere, ma per ogni altro tipo di reato.
Bene, invece, per l’obbligo formativo della Magistratura sulla violenza di genere, pure previsto dal disegno di legge, purché sia una formazione sul fenomeno sociologico, più che giuridico. Serve una formazione condotta da soggetti, quali i centri antiviolenza, esperti nel riconoscimento della violenza di genere, per decenni di lavoro al fianco delle donne che la subiscono. Solo in questo modo sarà possibile che, nelle aule di giustizia, non si continui a confondere la violenza di genere con le liti in famiglia o la violenza psicologica con la normale manifestazione della patologia di un rapporto in crisi.